Sì proprio di un cappello, non una berretta, non un basco, nemmeno una bombetta, forse un fedora, ma con la tesa larga da calzare bene in testa nonostante la massa di capelli. E tutto colorato, per indossarlo con un pizzico di follia.
Lo vorrei come lo immagino, probabilmente esiste solo nella mia mente, ma è proprio così che mi occorre, con la passamaneria vezzosa; un cappello bello, di feltro robusto per contenere tutti i pensieri.
Un copricapo speciale, che mi aiuti a smettere di sognare, di illudermi di poter volare via.
La verità è che non si può scappare, ma neppure si può essere felici e soddisfatti.
Le vacanze sono finite, si torna alla realtà, quella fatta di persone e l’essere umano, è cosa nota, sa essere proprio spregevole.
Basta sperare che qualcosa cambi, che esista un luogo in cui l’etica è ancora un valore, dove la parola merito non è solo un lemma del dizionario, dove collaborazione non significa sgobbare al posto di qualcuno che poi passa a raccogliere i meriti.
Si dovrebbe smettere di desiderare di fare gruppo, di sentirsi parte di una squadra, di potersi fidare di chi, in teoria, dovrebbe tendere al medesimo obiettivo. Che mattane!
Serve un cappello, che tenga a bada la mia irrequietezza, che contenga queste strane idee che si formano nella corteccia cerebrale e che se ne corrono in giro accendendo speranze chissà in quale angolo del lobo frontale.
Perché ogni tanto succede che mi ritrovi a desiderare un orizzonte differente, fatto di stimoli e non di freni, di mortificazioni, di paure.
Ci si perde ascoltando persone preparate, appassionate, che offrono una pluralità di stimoli e zac… la materia grigia si mette in moto e partorisce l’immagine di un luogo in cui è ancora possibile impegnarsi col sorriso sulle labbra.
Che assurdità!
Ecco perché devo trovare quel cappello e calzarlo bene bene in modo da farlo aderire al capo e poter tenere tutte queste stramberie sotto controllo.