Per una serie di capriole della vita, alla soglia dei quarant’anni mi sono ritrovata a ridisegnare completamente la mia esistenza. Anni complicati, di grande confusione, di paure, di sogni infranti, di dolori insensati, ma talmente profondi da non riuscire a contenerli. Anni in cui non riuscivo ad avere pace in nessuna abitazione, vivevo con la valigia sempre pronta nel bagagliaio dell’auto, l’adorata Fiesta bianca, l’unico luogo in cui mi sentissi a casa. Un periodo buio, da cui mi pareva impossibile riuscire a emergere.
Poi sono arrivati i fatidici anta e la necessità di tirare le somme di un’esistenza che si stava scompaginando, come un libro con una rilegatura pessima. E ho iniziato a chiedermi se solo la rilegatura fosse di scarsa qualità, o se anche il contenuto lasciasse alquanto a desiderare. Che fosse la sintassi il punto debole, o la punteggiatura o magari proprio la storia in sé, qualcosa doveva cambiare. In sintesi, occorreva un accurato e impietoso lavoro di revisione, impegnativo, stancante, ma necessario. Attività di correzione di bozze che continua anche oggi, probabilmente il labor limae di oraziana memoria finirà solo al termine dei miei giorni.
Ma, per tornare all’oggetto di questa riflessione, in quel momento avevo bisogno di qualcosa che mi consentisse di trovare una parvenza di equilibrio, un salvagente a cui aggrapparmi. Una delle amiche più care sin dai tempi dell’asilo mi diede un consiglio forse banale, eppure era un escamotage a cui non avevo mai pensato, mi suggerì di trovarmi un talismano, un oggetto in cui concentrare il mio potere. E siccome mi ero ritrovata senza più nulla, il portafortuna doveva essere un investimento contenuto, scelsi quindi un anello di latta, che indossai al pollice. Un acquisto da 6 euro in una cartoleria del centro cittadino, che per un decennio è stato al mio dito, girato e rigirato in ogni occasione in cui il respiro si faceva corto.
Adesso, tagliato il traguardo dei cinquant’anni, avvenimento che ha sorpreso me per prima, meravigliandomi per quanto in fretta la sabbia abbia iniziato a scorrere nella clessidra, ho avuto la tentazione di toglierlo. E, in effetti, per qualche giorno è stato così, abbandonato in un cassetto con l’intenzione di sostituirlo con qualcosa di meno dozzinale o più consono alla mia età.
Oggi è di nuovo al dito. La verità è che non importa a quale oggetto conferisca il ruolo di detentore della forza a cui attingere ogni volta che mi sembra di non riuscire a farcela, per stanchezza, impazienza, o semplicemente perché ci sono giorni in cui il resto del mondo pare insopportabile. Ciò che conta davvero è tenere a mente che quella forza c’è e che il vero potere è restituire il giusto peso a ogni inciampo della vita. Forse, un giorno, la mia forza risiederà in un brillante di grande caratura, ma oggi vive ancora benissimo in quella fascia di alluminio riciclato.