Picasso è uno degli artisti che più mi emoziona. A un livello profondo; se dovessi banalizzare ciò che avverto potrei dire che mi fa venire i crampi alla pancia, mi morde dentro. E non è sempre una sensazione positiva, ma è un impatto potente, anche le sue opere più particolari mi rapiscono, mi scuotono, mi ricordano che c’è dell’altro. Un po’ come quando guardo il mondo riflesso nelle pozzanghere e fantastico che dall’altra parte sia tutto diverso, più facile. Eppure, se mi dovessi descrivere, direi che sono una persona estremamente lineare, con gusti semplici, con un’impostazione molto classica, dentro gli schemi, probabilmente considerata persino rigida e noiosa. Eppure qualcosa scalpita quando ho la fortuna di fermarmi a osservare le opere di Picasso. Una sirena di allarme, parte in sordina e poi il suono si amplifica fino a divenire assordante. Come se qualcuno mi urlasse che c’è di più e ben altro, che esiste un universo tutto da scoprire, diverso da quello che credo di conoscere. Non so spiegare cosa accada, ma la vicenda di un genio poliedrico che ha raggiunto vette di perfezione, che ha dominato la tecnica classica, per poi sovvertirne le regole, mi affascina. E al tempo stesso mi fa sentire triste. Il suo coraggio, la sua capacità di innovare, ma anche l’impegno politico, la forza dirompente con cui ha vissuto sono un esempio straordinario e un confronto impietoso con chi vive tutta la propria esistenza convinto di essere confinato in una fortezza Bastiani, in attesa di qualcosa che pare destinato a sfuggirgli inesorabilmente.
Qualcosa di simile è accaduto l’altro pomeriggio, sabato 18 gennaio, a Cesena, nel corso del terzo appuntamento della rassegna di musica elettronica organizzata in quell’angolo di meraviglia che è la liuteria di Diego Suzzi. Ascoltare due artisti talentuosi, eccellenti musicisti con una formazione accademica, dedicarsi all’innovazione, alla sperimentazione, mettendosi in gioco e misurandosi su un altro piano, che supera i canoni classici, ha nuovamente scosso la polvere che si annida dentro di me, ricordandomi che, senza rompere la buccia, non è possibile germogliare.
Antonio Cortesi e Luca Longobardi hanno portato magia in un momento in cui la fatica frequentemente offusca il bello, spegne il sorriso e mi ritrovo a osservare confusa un quotidiano che mi sembra distante. Ho sempre trovato meraviglioso il suono del violoncello, così pieno e potente, e, assieme al pianoforte e al sintetizzatore, ha preso vita un fluire di sensazioni pieno di speranza, aspettative, grazia e raffinatezza. La suggestione di un’esibizione in un luogo magico, in cui una stufa a legna scaldava il cuore e la musica conquistava gli animi di un pubblico attento e partecipe, ha regalato momenti di intensa armonia. E mi rammarico di essere così poco esperta di musica da non poterne parlare con cognizione di causa, potendo solo descriverne gli effetti, da umile fruitrice. Un balsamo per l’anima, grata di quanto vissuto, avendo ritrovato la voglia di uscire dal torpore e provare a varcare la soglia dell’ignoto, per vedere se dentro la pozzanghera la vita è realmente diversa.