Da qualche mese, al lavoro, è esplosa la mania dell’intelligenza artificiale come mezzo per risolvere ogni problema legato alla creazione di contenuti: scrivere testi, fare riassunti, trovare spunti per organizzare convegni, rispondere alle e-mail e persino inventare post intelligenti per i social personali, per incrementare la propria credibilità nella rete sociale digitale. Tutti impieghi per trovare scorciatoie all’unica attività che ancora dovrebbe dare senso a questa umanità sempre meno umana: pensare.
Come se le celluline grigie, rese famose dal più noto investigatore belga , l’acuto e insopportabile Poirot, avessero perso la loro funzione. Qualcuno mi ha chiarito che è un notevole risparmio di tempo, permettendo di incrementare la produttività, ma è una risposta che non mi ha convinto. Se riesco a comprendere la validità della tecnologia impiegata per alleviare la fatica fisica, o per eseguire calcoli talmente complessi da richiedere mesi alla mente umana e poche ore alla macchina, magari persino riducendo i margini di errore, continuo a non vedere il vantaggio nel lasciare all’ intelligenza artificiale ciò che dovrebbe impiegare anche la sensibilità, caratteristica prettamente umana.
Uno scritto è sempre frutto di un ragionamento: rifletto, cerco i termini più giusti, per evitare ripetizioni ricorro anche a un sinonimo selezionato tra i vari che la nostra lingua offre, cerco di imprimere un significato specifico per arrivare al mio interlocutore, raccolgo idee ed emozioni e le trasferisco nella parola scritta. Un esercizio prezioso, in primo luogo per me che elaboro il messaggio e per chi ne è destinatario.
L’obiezione è che in un mondo sempre più veloce non c’è tempo per customizzare (termine che detesto) le proprie relazioni professionali, molto più efficiente una risposta asettica ma più rapida. La riflessione dí rimando è sempre la stessa, siamo sicuri che velocità corrisponda a efficienza? Non è meglio fare qualcosa di ragionato con un minimo di calma, piuttosto che un tutto e subito che non centra l’obiettivo, richiedendo modifiche e correzioni? Dipende sicuramente dall’ambito in cui si opera, ma non essendo impegnata in un pronto soccorso, a volte mi pare che la velocità sia un alibi per la superficialità.
E che i vari bot siano solo un modo per procedurare (altro termine che trovo insopportabile) ciò che richiede rispetto, attenzione e sensibilità, concetti fuori moda e per ciò da abbandonare a favore dello standard.
Se lasciamo a una sequenza numerica ciò che abbiamo costruito in millenni di evoluzione cosa rischiamo? Anche se non sono una tecnoentusiasta (altro termine che aborro) non rifiuto nemmeno il progresso, ma solo l’utilizzo furbo di enormi potenzialità: per pigrizia mentale lascio fare a un programma del computer ciò che potrei fare con un minimo sforzo. Sono convinta che, come scrivono quelli bravi, la lingua crei il pensiero, un pensiero articolato e complesso richiede tante parole per prendere forma, per diventare concreto ed essere condiviso. Se lasciamo ad altri questo potere, il futuro si preannuncia non dissimile da quello raccontato nei romanzi di Bradbury o di Orwell. Che mi hanno sempre angosciato, perché troppo reali nella loro irrealtà.
E adesso chiederò a qualche programma di riscrivere questo testo, in maniera più smart e user friendly per aumenta l’engagement e incrementare i follower.
Ma anche no.
Che belle cose che hai scritto. Ti ricordi le scimmie di Borel? Qui è peggio. C’è un impasto imitativo che si nutre dell’esistente… Ma forse il punto è in che cosa ci aspettiamo…
Ecco, non avevo pensato alle scimmie instancabili! Grazie per lo spunto!