Il museo del 900 a Milano è un’inesauribile fonte di incanto.
Per quanto sia poco preparata sul periodo storico (sfogliando il libro di storia dell’arte delle superiori, ho notato che le pagine relative al secolo scorso sono intonse; immagino, ma è passato troppo tempo per averne certezza, che il programma terminasse prima), sono sempre stata attratta da molti degli artisti di quegli anni, a partire da Pablo Picasso, ammirato a Palazzo dei Diamanti in una mostra dedicata alla Barcellona modernista, quasi 10 anni fa. Resta il rammarico per gli anni persi, non mi sono mai appassionata alla storia dell’arte sui banchi di scuola, colpa mia, ero un’adolescente in cerca di sé, per nulla portata per la musica o l’arte in ogni sua forma e non ho avuto la fortuna di incontrare un docente che accendesse la passione per queste discipline. Eppure, da adulta, ho avvertito il desiderio di conoscere, di studiare, di capire le intenzioni degli artisti e quali emozioni desiderassero suscitare. Ormai da anni provo a colmare i vuoti della mia preparazione ed è stato, quindi, estremamente piacevole avere l’opportunità di trascorrere qualche ora nelle sale di quello che è uno ricchissimo scrigno di bellezza. A partire dallo stesso contenitore, l’affascinante Palazzo dell’Arengario, con la rampa a chiocciola che consente un punto di vista inedito sul Duomo di Milano e che introduce il visitatore nel labirintico percorso, fatto di molteplici esperienze.
Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà sono i primi artisti presentati e davanti ai quali mi sono sentita infinitamente piccola: una pluralità di emozioni difficili da esprimere a parole. Da una parte il piacere di vedere dal vivo opere di cui avevo solo sentito parlare, dall’altra la consapevolezza che sono già trascorsi più di cent’anni da quando questi autori hanno operato, eppure la loro attualità è innegabile. Artisti che hanno vissuto un periodo storico di grande fermento, nei quali sconvolgimenti geopolitici e nuove consapevolezze da parte delle masse gettavano le basi per i conflitti mondiali. Innovatori, artisti capaci di rompere gli schemi che padroneggiavano senza incertezze, gettandosi a capofitto in qualcosa di nuovo, ancora da definire. La carrellata di grandi nomi prosegue, Kandinsky, Modigliani, Picasso, Braque e poi De Chirico e tanti altri in una girandola di suggestioni che lasciano senza fiato. Tanto che, anche l’iconica e instagrammatissima Sala Fontana con le installazioni Soffitto spaziale e la Struttura al Neon, realizzate da Lucio Fontana quasi settant’anni fa, in cui ogni visitatore si fa almeno un selfie con alle spalle la vetrata vista Duomo, finisce con l’essere ridotto a tassello di un enorme puzzle di stupore.
Al quarto piano, poi, negli spazi degli archivi del Novecento, trova sede quella che, per me, è una vera chicca: la mostra, visitabile fino al 3 novembre, Archiviale_001. Una raccolta di fotografie, lettere, biglietti di ingresso, cataloghi, manifesti e ritagli di settant’anni di storia delle gallerie private di Milano. Un riassunto del fermento culturale che ha attraversato la città e che ancora la caratterizza, nonostante le polemiche sul caro vita e la sua inaccessibilità ai più. (Nota personale e off topic: sulla città, in cui ritorno sempre con piacere, non posso esprimermi, non avendo riscontri, ma sui milanesi incontrati posso affermare che sono stati tutti gentilissimi e prodighi di informazioni).
Uno stordimento da eccesso di bellezza, ma anche una gioia difficilmente spiegabile. Immergersi in tante esperienze differenti, di cui sono totalmente digiuna, ha instillato nuovi desideri e reso evidente il bisogno di trovare una mia via per coltivare le passioni che ogni giorno silenzio e mortifico. Una sensazione che sfugge alle parole, ma che mi ha donato una visione differente, come se avessi cambiato la lente e messo meglio a fuoco ciò che già so di me.
Un museo che merita più di una visita e al quale sarà bellissimo tornare per approfondire altri dettagli. Sorrido, sfogliando il testo delle superiori: le opere di Boccioni citate sono collocate a Milano, alla Galleria d’Arte Contemporanea, informazione corretta nel 1993, quando ancora la ristrutturazione di Palazzo dell’Arengario, completata nel 2010, era lontana.