È difficile mettere in fila le idee quando leggo libri che riportano alla mente situazioni sgradevoli del passato, con le quali, evidentemente, non ho ancora fatto pace.
Ho ricevuto in dono da un’amica a Natale il libro di Antonio Schiena che è finito, senza troppa convinzione, nella pila dei libri sul comodino, che mi sto impegnando a sfoltire (nonostante venga alimentata con quegli acquisti che assolutamente non avrei dovuto fare, vista la quantità già presente). La mia diffidenza nei confronti degli autori contemporanei, in questo caso era rafforzata dal fatto che l’autore è anche star di Instagram con un divertente (e molto tagliente) profilo. I pregiudizi sono stati sfatati rapidamente, tanto che ho letto il libro tutto d’un fiato.
Soprattutto per il tema trattato, il bullismo e le condizioni che consentono ai bulli di esserlo. L’ignavia, la paura, l’ignoranza, la scarsa intelligenza di chi assiste in silenzio alla violenza che prende di mira, isolandolo, il soggetto più debole. Nel libro la vittima è figlio di una madre single, troppo fragile per prendersi cura di un ragazzino alle prese col bullo del paese, pluriripetente e in grado di intimorire persino i professori, primi responsabili di quello che lasciano accadere nella loro classe. Il narratore, che rischia di seguirne i passi, sconta invece il fatto di essere ancora un ragazzino con la voce stridula che condivide il percorso scolastico con un altro, figlio di professionisti e apparentemente bravo ragazzo, incapace di farsi apprezzare, se non attraverso la presa in giro di chi non sa reagire.
Perché il bullo va capito, poverino, non è davvero cattivo, è un insicuro che si nasconde, è invidioso, non è abbastanza intelligente per affermarsi con le sue capacità ma sa circondarsi di deboli che lo assecondano, ben felici di stare dalla parte del più forte. Col cavolo! Il bullo non è poverino, le sue vittime meritano empatia, non chi furbescamente cerca scorciatoie per affermarsi. Non si può perdonare un fallito che impara a usare la violenza, fisica, verbale e la manipolazione degli sciocchi, per raggiungere i suoi scopi e che perpetuerà questo suo comportamento in ogni ambito della vita, raggiungendo immeritatamente posizioni dalle quali continuerà a fare male. A meno che qualcuno non lo educhi, che non significa massacrarlo di mazzate, anche se per la vittima sarebbe un degno risarcimento, ma insegnando concetti difficili e fuori moda che hanno a che fare con etica, fatica, impegno, in sintesi con la trasmissione di modelli positivi. Non so se la scuola sia in grado di farlo, soprattutto in assenza di un supporto da parte delle famiglie, ma di certo so che assecondare un’ingiustizia, in qualsiasi contesto, significa esserne responsabili. E da parte di un adulto che ha una responsabilità educativa è una sconfitta completa.
Personalmente non ho mai compreso, né scusato, né perdonato i bulli (nel mio caso le bulle) né il belante circo di cui si attorniavano. Ho sempre avuto la fortuna di non rientrare nella casistica delle vittime prescelte, ma non li ho mai tollerati, finendo talvolta nel loro mirino perché a fianco dell’oggetto dei loro soprusi.
Ma non me n’è mai importato.
Ricordo ancora quando per la prima volta mi sono scontrata con questa realtà, dopo l’isola felice delle scuole elementari, l’ingresso alle scuole medie inferiori ha coinciso con la coscienza che il mondo fa schifo. Ragazzine bellissime e bravissime che se la prendevano con chi non era già perfetta come loro. Ho combattuto, con i miei poveri mezzi e scontando un’enorme solitudine, una battaglia inutile, quegli anni sono passati e a distanza ne ho rivista qualcuna. La vita le ha riportate sulla terra, evidentemente non erano cattive, solo stupide e infantili e oggi vivono vite normali, inconsapevoli del male fatto. Non ho invece rivisto le loro vittime, l’assenza di cellulari all’epoca rendeva più difficile i contatti con chi non viveva nel vicinato e non so dove siano oggi e come stiano. Se abbiano perdonato e dimenticato.
Evidentemente io no, se è bastato un libro a riaccendere la rabbia, sentimento mai sopito anche a causa delle ingiustizie che quotidianamente vedo nel mondo del lavoro. Un libro ben scritto, scorrevole, molto vero e in cui è facile identificarsi. Un testo che dovrebbe essere letto in classe alle scuole medie e oggetto di analisi. Per parlarne assieme, per provare a superare i muri di chi si sente totalmente isolato e di chi si sente forte sfruttando le debolezze altrui.
Un testo che merita di essere letto anche “da grandi” per farsi un esame di coscienza e chiedersi quale ruolo si è giocato e che forse si perpetua anche oggi. Con la consapevolezza che, spesso, riuscire a diventare adulti è solo una grande fortuna.