In queste settimane ho viaggiato più del consueto.
Ritrovando l’amore mai sopito per la fotografia, sono andata a caccia di mostre e belle città, incontrando nuovamente luoghi che mi hanno riempito di emozioni. Bologna, Venezia, Torino, Firenze, Parma sono state meta di piacevoli ritorni, complice un meteo, che, anche quando si preannunciava funesto, ha regalato belle giornate di sole o, almeno, impreviste tregue. Giorni belli, in cui ricaricare la voglia di coltivare le passioni, anche quando il tempo è tiranno.
Le mie fughe alla ricerca del bello, tuttavia, hanno un impatto economico rilevante sulle già risicate finanze, a cui si aggiunge il desiderio di approfondire ciò che s’incontra, con conseguente acquisto di volumi per conoscere meglio artisti e situazioni. Ieri sera, scorrendo l’estratto conto della carta di credito, passata la solita nausea nel ricevere buste con comunicazioni bancarie e superato il momento di iniziale sbigottimento (non è colpa mia, non ho simpatia per le banche, né per gli adempimenti burocratici e affini), ho pensato di non aver mai fatto investimenti migliori.
È vero che non è indispensabile leggere, visitare musei, o incantarsi nell’ammirare il pulviscolo illuminato dalla luce che filtra da una finestra, la stessa, da almeno seicento anni, ma quanto è emozionante farlo? Come batte il cuore in quell’attimo, come gioiscono anima e mente nel godere di queste opportunità? Mi sento viva. E serena. E incredibilmente felice, come se fossi nel momento, senza pensare a ciò che è stato, senza preoccuparmi di ciò che sarà. E sorrido sentendomi leggera. Tanto.
Ritrovare il gusto dell’incanto. Ecco, in estrema sintesi, si tratta di questo.
E per una volta, accanto all’inutile, quanto inevitabile, solenne impegno di essere meno disinvolta nell’uso della carta di credito, ho fatto spallucce. Cosa si perde chi ha troppi denari, ma difetta di propri sogni da realizzare…