Ci sono libri che fanno male. Forse perché letti in momenti in cui la predisposizione d’animo non è giusta, o magari perché sono talmente ben scritti da arrivare a toccare punti dolenti. Sto parlando di Niels Lyhne di J. Peter Jacobsen, caldamente consigliato da R. M. Rilke al suo giovane amico in cammino sulla strada della poesia, che, per me, è stato un viaggio nel buio. Il racconto della vita del protagonista è un’eterna attesa di qualcosa che è solo vagheggiato, sognato, bramato. Ancora prima della sua nascita quando l’autore descrive la personalità di colei che lo darà alla luce, una creatura diversa dall’ambiente in cui vive, condannata all’infelicità e a rifugiarsi nella fantasia, per non riuscire a conformarsi a ciò che la circonda. Una sorta di inquietudine e di spinta verso qualcosa di più grande e nobile, che si trasforma in una maledizione a cui non sfugge nemmeno il figlio. L’autore danese tratteggia per il suo protagonista un destino feroce, che sistematicamente lo priva di affetti e certezze, quasi a punirlo per la sua incapacità di essere parte della realtà, pur nei suoi aspetti più banali. Un rimanere sempre sulla soglia della vita, un’incapacità di sentirsi parte del proprio tempo, illudendosi di essere portatori di un talento, custodi di un dono che non troverà mai la luce. Un romanzo struggente, scritto in maniera mirabile, dolorosamente credibile e in cui mi sono identificata più volte.
Il senso di estraneità, la ricerca di qualcosa che sistematicamente sfugge, la costante del fallimento frutto di una incapacità di confrontarsi con la concretezza della realtà più che per altri limiti, non sono solo elementi di una narrazione, sono situazioni in cui non è difficile identificarsi.
Ogni volta che mi chiedo se ci possa essere di più, se la vita sia il solito tran tran o se possa esserci modo di lasciare un segno, non mi comporto forse come il protagonista, che anela a grandi cose, senza essere capace di realizzarne nemmeno una?
La solitudine, il vuoto, l’incomunicabilità, l’illusione vana che la bellezza della natura o l’amore di una donna siano la chiave d’accesso a ciò che, invece, rimane sempre distante: pagine intense, che scorrono senza mai lasciare spazio alla speranza.
Non è stata una lettura facile, più volte mi ha disturbato, ma non riesco a smettere di pensare al protagonista e a tutti i personaggi che fanno da controcanto nelle duecentocinquanta pagine che racchiudono la vita di Niels Lyhne.
Appoggiato il libro dopo averlo terminato, con disagio, ho provato il desiderio di portarlo anche fisicamente lontano da me, chiudendolo in libreria, come se avesse gettato una luce su qualcosa che non volevo vedere; eppure, lasciandolo decantare, mi posso convincere che sia capitato fra le mie mani esattamente nel momento in cui avevo bisogno di scuotermi dalla soffocante sensazione di blocco che la gestione di alcune situazioni personali comporta.
Anche trovare un senso è una scelta.