Oggi è il genetliaco di un autore meraviglioso, Jan Brokken, edito in Italia dalla casa editrice Iperborea, sempre prodiga di ottime pubblicazioni.
Premetto che, all’inizio del 2024, ho preso un impegno con me stessa, leggere almeno 20 pagine al giorno di un libro che nulla abbia a che fare col lavoro. Fra i volumi di queste ultime settimane, si sono succeduti “La suite di Giava”, “Bagliori a San Pietroburgo” e “Nella casa del pianista”, proprio di Brokken. E la sensazione è sempre la medesima, un giornalista che racconta con maestria, trascinando il lettore a condividere le sue passioni. Molti dei suoi scritti sono cronache solo in apparenza tali, perché mancano di fredda oggettività, le parole, infatti, non riescono a celare i sentimenti che l’autore stesso prova. Ed è un dono che fa ai suoi lettori, contagiandoli con il suo trasporto.
È un giornalista, un romanziere, un appassionato melomane, ma è anche un viaggiatore instancabile che attraverso il racconto di vite vissute, permette di entrare in contatto con la storia di altri paesi. Come l’Indonesia, che fa da sfondo alla ricostruzione dei quattordici anni in cui i genitori vissero esperienze tanto distanti, non solo geograficamente, dalla vita nei Paesi Bassi in cui Brokken è nato e cresciuto. Una ricerca di ciò che ignorava della madre, scomparsa troppo presto per permettere al figlio di comprenderla nella sua interezza, tanto da fargli scrivere che conosceva la madre “solo come moglie del pastore in un villaggio tipicamente olandese”. Le lettere, che la madre inviò alla sorella negli anni di lontananza, sono il punto di partenza per l’inchiesta del giornalista e l’omaggio di un figlio a una donna di grande intelligenza e sensibilità. Foto, ritagli, persino spartiti musicali, contribuiscono a ricostruire il quadro, assieme al lettore che non può fare altro che lasciarsi condurre lungo la storia.
Poi c’è San Pietroburgo, descritta attraverso alcuni dei suoi personaggi più celebri, da Anna Achmatova, per la quale si evince una sincera devozione, ai più noti nomi della letteratura russa: Dostoevskij, Turgenev, Gogol, Puskin, Nabokov sono tante le vite che si alternano fra le pagine, in un carosello che invita a colmare le lacune, di chi, come me, non ha approfondito la conoscenza di questi autori.
Tuttavia il libro che proprio non riesco a lasciare andare, è il bellissimo omaggio a Youri Egorov, pianista russo, che fugge dalla madrepatria per essere libero di vivere la sua omosessualità senza l’angoscia di essere internato, diventando al contempo un artista acclamato in tutto il mondo grazie all’indiscusso talento e alla ferrea disciplina con cui si dedica all’arte. Un uomo fragile, che agogna il ritorno in patria, affamato di vita e di esperienze e che finisce con il bruciare con troppa rapidità, morendo a trentatré anni sfiancato dalle conseguenze dell’Aids che lo spingono a ricorrere al suicidio assistito. Un raccolto denso, che colpisce a fondo.
Un’amicizia bellissima che credo si possa riassumere nel monito che, l’ormai sconfitto, Egorov pronuncia all’amico fraterno “Non dimenticare che sei venuto al mondo per scrivere storie. Non esiste altro motivo.” Un invito a non avere rimorsi e che ha sortito il suo effetto, Brokken rivela che da quel momento non è trascorso un giorno senza che scrivesse qualcosa. Una storia struggente, che continuo a sfogliare senza riuscire a riporla in libreria. Le ultime duecento pagine sono impossibili da lasciare andare, risuonano, potenti e delicate allo stesso tempo.
E allora, buon compleanno, signor Brokken! Sebbene sia insolito chiedere al festeggiato un dono, non posso evitare di domandarle di non smettere mai di regalare al mondo le sue parole.