“Hai ragione Stayne, è meglio essere temuti che amati.” Uno degli attacchi giornalisti classici è la citazione tratta da un’opera, in questo caso cinematografica. Complice la visita alla fantasmagorica mostra dedicata a Tim Burton, alla Mole Antonelliana di Torino, cornice di per sé già molto affascinante, sto, infatti, recuperando un po’ della filmografia del regista.
Pur non essendo un film recente, non avevo ancora visto “Alice in Wonderland”, lacuna che ho colmato ieri sera, gustandomelo in una serata casalinga sul divano, in pigiama, con copertina sopra le gambe e gatta spalmata addosso, che dormiva saporitamente, incurante dell’incredibile somiglianza tra il suo sguardo e quello ipnotico dello Stregatto. Film con un super cast, effetti speciali non da meno, una protagonista deliziosa e una storia leggermente differente da quella narrata dal cartone animato, sempre di casa Disney.
Non credo di correre il rischio di spoiler dissertando di un film del 2010, tratto da un grande classico della letteratura, se affermo che la Regina Rossa interpretata da Helena Bonham Carter è una splendida antagonista per l’adolescente Alice e che entrambe offrono interessanti spunti di riflessione. La figura di Alice evolve, la sua crescita personale passa dal farsi mettere in discussione da chiunque, anche da personaggi che potrebbero appartenere solo al sogno, come accade nel primo dialogo col Brucaliffo, allo sbottare con vigore, riconoscendo il proprio valore e prendendo responsabilmente in mano le redini della sua vita, finalmente artefice della propria storia, non necessariamente già scritta. Mentre la Regina è coerente a se stessa, nella sua follia, nel suo essere grottesca, ma anche umana nel desiderio di farsi amare, malgrado la figura sgraziata, penalizzata da “un enorme capoccione”. Il corollario di personaggi è fedele alla realtà, si trovano coraggiosi alleati dove meno si spera di incontrarne e viscidi opportunisti, su tutti il Fante di cuori, che attorniano il potente di turno solo per trarne beneficio personale.
Lo sguardo adorante che la Regina di cuori rivolge a Stayne, a mio giudizio il personaggio più negativo dell’intera storia, pare aprire uno spiraglio all’umanità, per poi riprendere la propria follia quando entrambi osservano, con distacco, la testa decapitata del re galleggiare nel fossato del castello, assieme alle altre delle povere vittime dell’iraconda sovrana. Tuttavia, la frase che più mi ha colpito, è proprio quella riportata in apertura, parte del dialogo fra i due. “È meglio essere temuti che amati” ha in sé un’amarezza profonda, probabilmente perché è vera.
Al di fuori del racconto fantastico, la realtà è fatta proprio di regine instabili mentalmente, assecondate da complici interessati e un popolo succube, talmente obnubilato da non opporre alcuna resistenza, per paura, per ignavia, per mancanza di coraggio o per mille altre motivazioni che ciascuno può addurre. La realtà è che di fronte a un dittatore sanguinario c’è una acritica accettazione che nasce dalla volontà di preservare se stessi e i propri cari (la figura del segugio, nel film, parrebbe incarnare questa fattispecie, serve la regina nella speranza di salvare la sua famiglia) o, come nel caso del “fedele” Fante, il desiderio di ottenere potere, pensando di saper manipolare la follia altrui per il proprio tornaconto.
Nella realtà purtroppo manca una Alice in grado di brandire la spada e mettere fine all’ingiustizia. Nel mondo di qua dallo specchio, la frase della regina è, spesso, tristemente corretta, non è l’amore che muove il mondo, ma la paura. Resta comunque la speranza, che, proprio come nella storia raccontata dall’eclettico regista, ci sia sempre un’improbabile armata di Lepri Marzoline, Cappellai Matti, Ghiri bellicosi pronti a supportare chi, di eroico, ha solo il proprio coraggio.