Sfibrata da un periodo molto stressante su troppi fronti, l’opportunità di rimettere a fuoco lo sguardo è stata una gita a Civita di Bagnoregio, la “città che muore”, come viene definita dalle guide turistiche. Un delizioso borgo, nella valle dei calanchi, sottoposto a erosione e frane, che ne mettono effettivamente a rischio la sopravvivenza.
Nonostante il cielo coperto di nuvole grigie poco incoraggianti, la vista che si apre sul borgo è incantevole. Raggiungibile solo attraverso un suggestivo ponte pedonale di circa 300 metri, il luogo è magico, ancora più di quanto sembri nei post di Instagram che ne hanno sancito la fama, con i numerosi scatti dedicati all’iconica inquadratura dell’intero paese e del lungo ponte di cemento che ne consente l’accesso, dopo aver acquistato il biglietto.
E vale sicuramente la visita, è bello passeggiare tra le viuzze, pur affollate di turisti e osservare l’abitato ben conservato, che lascia immaginare come scorresse la vita nel medioevo. Nella piazza principale la chiesa di San Donato, il palazzo comunale e tanti locali, dai ristoranti ai bar, in cui consumare un pranzo o fare una sosta ristoratrice per gustare qualche specialità.
In questa atmosfera sospesa nel tempo, è possibile lasciarsi andare alla nostalgia. Un sentimento pericoloso perché non sempre è rivolto a ciò che è stato, ma a quello che sarebbe potuto accadere. Scansando la bimba di non più di tre anni, che gioca a nascondino con la mamma ridendo felice, avverto quella fitta che ben conosco e che ho dovuto imparare a ignorare e nascondere agli altri, anche se sorridere, in certi momenti, costa una fatica enorme.
Spostando lo sguardo alle austere scale in pietra, alleggerite da vasi di gerani di un bel rosso acceso, il pensiero va alla nonna materna, che a marzo doveva decorare i balconi di casa proprio con quelle piante “che tengono lontane le zanzare”, detto con convinzione talmente profonda, che non poteva che essere vero. E penso al mio appartamento, con balconi così simili, in cui ho avuto piante di ogni tipo ma, non so perché, mai i gerani.
Una punta di rimpianto riemerge, nonostante il momento di svago. Le mie radici finiranno con me, che non ho avuto occasione di conoscere quel bambino così cercato e tanto sognato. Ma non si può raccontare a nessuno quanto sia difficile dover rinunciare a un desiderio, soprattutto quando qualcuno si lamenta delle fatiche della genitorialità e conclude con “beata te che non hai figli”.
Una sensazione contrastante, sentirsi circondata di bellezza, grata di poterne godere e un dolore mai sopito che torna a farsi sentire, come il ticchettio di un orologio in una casa silenziosa.
Buffo come corra il pensiero quando il corpo è circondato dalla storia, in uno dei borghi più belli d’Italia.