Dopo aver conosciuto il lavoro di Eve Arnold nel 2019, ho iniziato a documentarmi sulle figure femminili che hanno cambiato il corso della storia della fotografia, venendo riconosciute in vita come professioniste, alla stregua dei colleghi uomini. Impossibile non imbattersi quindi in Dorothea Lange, fotografa che, dopo essersi affermata come ritrattista del bel mondo newyorkese, inizia a interessarsi a chi, a causa di condizioni meteorologiche disastrose e di una altrettanto irresponsabile politica di sfruttamento del terreno, dopo aver perso tutto, si ritrova a dover migrare in cerca di condizioni di vita meno miserabili.
È da qui che parte la mostra a lei dedicata, che, fino al 4 febbraio 2024, è visitabile ai musei civici di Bassano del Grappa, città che, già di per sé, merita una visita. L’opera di Dorothea Lange è sicuramente l’occasione per ritagliarsi almeno una giornata in città.
L’obiettivo è puntato su un’umanità migrante. Proprietari terrieri falliti, costretti a impiegarsi come braccianti, accampati con le famiglie in tende improvvisate, a fianco di altri che vivono di niente, una situazione di precarietà che non toglie dignità ai visi e agli sguardi ritratti per conto della Farm Security Administration negli anni trenta. Perché lo sguardo di Lange è obiettivo, ma attento a non umiliare. Non c’è pietismo, c’è il racconto privo di ogni giudizio. Forse perché i suoi non sono mai scatti rubati, la sua enorme Rolleiflex non passa inosservato e il soggetto è sempre consapevole di ciò che sta accadendo.
Anche quando abbandona il progetto, lo stile non muta: la sua opera vuole mostrare, fare conoscere. Lo testimoniano gli scatti per la War relocation Authority. Nonostante sia in aperta opposizione al provvedimento, Lange partecipa al lavoro e ritrae gli americani di origine giapponese, internati a seguito dell’attacco di Pearl Harbor nel 1941. Le immagini, ancora una volta, evidenziano la sua delicatezza, l’attenzione alla persona. Anziani, giovani, bambini che sono e si sentono americani, devono abbandonare case, campi e negozi e accettare la nuova collocazione. Raccontare l’ingiustizia, renderne testimonianza affinché non sia dimenticata. Un punto di vista che la porta a confliggere con i militari, che concludono anticipatamente l’incarico affidatole. Il coraggio delle sue idee e l’etica, che l’avevano spinta a registrare le condizioni di vita di persone che scontano l’unica colpa di avere origini nipponiche, le costano il lavoro.
Uno sguardo limpido per un’esposizione che mi è piaciuta molto. Per me, interessante l’allestimento, su due sale ampie, d’impatto le riproduzioni sulle pareti di alcuni scatti, come a ribadire la forza di questi soggetti.
Bella scoperta, i musei civici di Bassano, sicuramente consigliati!