Ho ritrovato il primissimo post scritto per il precedente tentativo di blog, fatto dieci anni fa, quando nacque l’idea di viaggioleggera, durante un sofferto soggiorno a Parigi. Per quanto possa sembrare una contraddizione in termini scrivere nello stesso periodo “Parigi” e “soggiorno sofferto”, la meta si rivelò effettivamente inadatta a una fase della mia vita di cambiamenti tanto impegnativi, quanto dolorosi. A volte, tanta meraviglia richiede un cuore sereno per essere davvero apprezzata. Comunque riposto queste righe perché spiegano cosa mi abbia spinto a raccogliere i miei pensieri, una motivazione ancora presente, anche se il contesto è cambiato, tanto da avermi riportato nella capitale francese innamorata della bellezza e felice di poterne godere.
Ci sono capitoli nella realtà? “Riprendi in mano la tua vita e volta pagina”. “Scrivi un nuovo inizio”. “Le pagine migliori sono ancora tutte da comporre”
Pare facile dare consigli a una donna con velleità letterarie, ma il dubbio resta, la vita è davvero un libro che ciascuno è libero di scrivere come meglio desidera? Sono mesi che me lo domando, perché se davvero dipendesse unicamente da me, a quest’ora la mia vita sarebbe un romanzo che la trilogia delle 50 sfumature stingerebbe, un manuale della donna di successo, un diario di viaggio sulle migliori mete della galassia, un compendio delle duecento opere d’arte più emozionanti e, sicuramente, sarebbe l’edizione maggiormente curata di tutte quelle mai pubblicate, da Gutenberg a oggi.
E invece?
Purtroppo temo di essere una di quelle pubblicazioni da edicola, con la copertina che riesce a fare le orecchie anche solo guardandola, con la carta delle pagine che da bianca diventa ocra nel giro di due giorni, che tende a sfascicolarsi, perché incollata in maniera dozzinale. Magari scritto anche benino, ma da un autore che non assurgerà mai alla notorietà e che, probabilmente, finirà sugli scaffali di qualche scambio di libri da supermercato, senza mai venire letto integralmente.
Ogni giorno cerco di scrivere un pezzetto di vita, che non mi faccia soffrire a un’eventuale rilettura, cerco di evitare gli errori di grammatica, non esagerare con le ripetizioni e avere uno stile pulito. In sintesi, di essere onesta, in primo luogo con me stessa e poi coi coprotagonisti della storia. Spesso persone meravigliose, di cui mi posso fidare, altre volte esseri umani che di umano hanno ben poco. Ma non riesco a immaginare, non dico il finale, ma neppure le prossime tre righe.
Perché vivere è dannatamente difficile. Scoprirsi soli davanti a una caduta, alla quotidianità ed essere annichiliti dalla paura. Paralizzati nel rendersi conto che non arriverà nessun deus ex machina a risolvere l’intricata matassa. Intanto le pagine scorrono. E il personaggio principale è in scena a ogni paragrafo. Anche se non sa come fare, come progredire nel racconto, perché le sembra di muoversi in maniera scomposta e di sporcare con l’inchiostro anche ciò che di bello c’era nelle pagine precedenti. Vorrei mettere un punto e iniziare un nuovo capitolo.
Ma temo di avere inventato un nuovo genere letterario. Che non prevede pause, né soste. Immagino la fatica per un lettore che, leggendolo a voce alta, non riesce a prendere fiato. Ma il lettore può percepire la fatica di esserne la protagonista?