Ne sono consapevole, ma non è un atto cosciente, il mio cervello è autonomo e, a volte, anche un po’ rumoroso.
Quindi accade che, da una piacevolissima serata sotto agli ulivi, in compagnia di splendide persone, ad ascoltare i grilli frinire, cercando le stelle cadenti, s’inneschi una riflessione che mi conduce ben lontano dal luogo fisico in cui serenamente ozio.
Il pensiero rimbalza in giro, mi sento bene, ho la sensazione di essere dove voglio stare, non ho mai cercato lo sfarzo dei ristoranti stellati, ma ho desiderato il lusso di stare bene, sentendomi a mio agio, circondata dal bello.
La perfezione è poi sentirsi dire da una piccola amica, che si rannicchia fra le braccia, “qui si sta bene” a cui si aggiunge il sorriso di chi le ha donato un po’ del proprio corredo genetico.
E proprio questo ha originato la cavalcata di pensieri che mi distraggono dal momento, c’è stata una fase della mia vita in cui mi sono nascosta. Senza rendermene conto sono piano piano scivolata in un angolo, quello più remoto, dove la luce non arriva quasi mai, dove si annida più facilmente la polvere, dove si nascondono gli ospiti indesiderati, come gli scarafaggi, creature degnissime, per carità, ma che nessuno vuole.
Me ne stavo seduta in disparte, dapprima spinta lì dagli eventi della vita, poi trattenuta dalla convinzione di non essere degna della luce, che il respiro affannoso fosse la normalità e i macigni sul cuore facessero parte del pacchetto.
Forse è qualcosa con cui lotto ogni giorno, l’idea di non meritare la felicità, di non essere abbastanza, di non aver fatto abbastanza. Non so nemmeno se sia retaggio di una formazione molto rigida, dell’asilo cattolico in cui al posto del Babau si ripeteva “Gesù ti vede” e la misericordia divina aveva un ambito molto limitato, ma so che ho sempre vissuto di sensi di colpa e cospargendomi il capo di cenere da sola. Pretendendo da me stessa una perfezione da cui sicuramente disto anni luce e punendomi per questa mia incapacità.
Ma so anche che qull’angolo è diventato troppo stretto, che senza luce appassisco, che gli scarafaggi continuano a non piacermi.
Non voglio più nascondermi, non voglio più permettere a nessuno di spingermi (con modi suadenti, con motivazioni valide e inoppugnabili, facendo leva sui mille sensi di colpa su cui la me bimba ha messo radici) nell’ombra.
Esisto, coi miei difetti e qualche pregio. Con i miei amori viscerali, le mie idee bislacche e milioni di parole che non so pronunciare, ma che ogni tanto trovano la strada della scrittura per tornare libere e farsi sentire.
A volte sembro assente, assorta nelle mie riflessioni, seria e persino cupa, ma non è così, sto godendomi l’aria pulita.
Il ricordo di sensazioni poco liete è ancora vivo, ma ogni giorno lo diventa meno e riesce più facile sorridere, anche se i muscoli deputati sono fuori allenamento.