Ci sono libri che colpiscono in profondità.
Simenon è un autore che amo moltissimo e capita spesso che i suoi romanzi mi lascino per giorni una particolare sensazione, strettamente legata alla storia.
Con la lettura di “Lettera al mio giudice” l’emozione suscitata è un misto di rabbia e ammirazione. Impossibile non rimanere impressionati dal talento di un autore che descrive così bene ogni tratto dei personaggi e delle vicende, tanto che pare di essere lì, a osservare la scena mentre si svolge.
Rabbia, perché mi ha portato a empatizzare con il protagonista, che si macchia di uno dei crimini che considero più odiosi.
E qui inizia lo spoiler.
Il romanzo è una lunga lettera, scritta al giudice Coméliau, dal dottor Charles Alavoine, omicida, per spiegare cosa lo ha portato a commettere quel delitto. Un femminicidio, si direbbe oggi; un brutale assassinio di una donna che lo amava e che si era affidata a lui, scrivo io. Non c’è nulla di più crudele che spegnere la vita di una giovane donna, che per una serie di eventi sfortunati, aveva subito vicissitudini poco liete col genere maschile, dopo averla illusa di aver finalmente trovato un porto sicuro in cui riposare.
Anche se i segnali di una relazione malata erano evidenti (nella lettera il medico non nasconde che gli eccessi di gelosia sfociavano in pugni che facevano scricchiolare le ossa del viso della ragazza), le parole del reo confesso portano anche il lettore a pensare che lui amasse in maniera talmente viscerale, con una passione talmente brutale, da non potersi contenere.
Malgrado la paura che riconosceva negli occhi di lei, nelle pagine al giudice scrive di averla amata con innocenza.
E questo ha scatenato la mia frustrazione a posteriori, mi sono chiesta come io abbia potuto, immersa nel racconto e presa dalla narrazione, ritenere che l’amore possa assumere questa forma. Si racconta di possesso, di dominazione, di un uomo debole, che nella sua vittima trova il suo riscatto e il suo affrancamento, da una madre troppo presente e da una moglie soffocante e forse anche dalle due figlie, che rimangono sempre in secondo piano, male illuminate, quasi a renderle elemento di contorno.
Ma di amore non c’è traccia.
E anche se il punto di vista del protagonista è reso talmente bene, da offrire una chiave di lettura per capire quest’uomo, non ci può essere redenzione. E la pagina finale lo testimonia. Insomma, ancora una volta, Simenon ha saputo toccare le corde giuste per costringermi a riflettere.
Voto 10 e lettura consigliata.